La fatica di insegnare. Cosa direbbe una maestra esperta ad una giovane insegnante.

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Capita di sentir dire che l’insegnamento sia fatto prima di tutto di passione, sia una vocazione, una missione. Tutto vero ma ti assicuro che insegnare significa anche fatica, reiterata, potente e misconosciuta.

 

Perché l’insegnamento è un lavoro usurante.

 

 

Alcuni anni fa, l’attività di insegnante di scuola dell’infanzia, è stata inserita nella lista dei lavori considerati usuranti. Cosa abbia spinto i legislatori a fare una scelta simile è un mistero, perché spesso la fatica di svolgere questo lavoro rimane incompresa ai più, talvolta anche agli stessi lavoratori del settore scuola.

 

Quando esci da scuola per una passeggiata, con i bambini e le bambine in fila, la gente comune li osserva e spesso dice: ma come fate? Io non farei mai un lavoro simile.

Ti stringi nelle spalle e non sai bene cosa rispondere, perché sai che tu invece non avresti potuto fare altro.

Ero una bambina di quattro anni quando ho sentito per la prima volta il desiderio di fare questo lavoro e l’ho portato dentro per anni, fin quando non è stato chiaro a me, e ai miei genitori, che mi osservavano crescere, che quella era la strada che avrei percorso.

Fu il mio papà, che nella vita svolgeva tutt’altra attività, che un giorno disse a mia madre: adesso è chiaro che nostra figlia è nata per quello.

Da lì in poi il percorso divenne obbligato: tanto studio, preparazione e soprattutto mettersi in gioco continuamente.

 

Oggi le ragazze che scelgono di intraprendere questa professione, sono chiamate a fare un percorso ancora più lungo e qualificante: hanno l’opportunità di svolgere tirocini di valore, di sperimentare in molte direzioni e di essere affiancate da docenti, che offrono loro un’ottima preparazione universitaria.

 

Ricevono molti più strumenti di quelli che abbiamo ricevuto noi tanti anni fa, ma quando arrivano a scuola per gli stage, sono preparate solo in parte a quello che sarà il lavoro vero con i bambini, un lavoro per cui ognuna di noi è chiamata a trovare la propria personalissima strada.

 

Comunque una delle prime cose che dico loro è: ragiona sulla fatica, pensa a quanto dovrai dare a questo lavoro, perché senza questa parte di riflessione, anche il tirocinio più riuscito, non offre uno sguardo veritiero sulla quotidianità a scuola.

 

 

Perchè insegnare è difficile: lavoro quotidiano e fatica dello stare a scuola.

 

 

La vita a scuola è fatta di tantissimi aspetti. Ogni insegnante prende, per così dire in mano, in modo diverso i differenti aspetti del lavoro.

 

Ci sono le aree di sviluppo con tutte le competenze che i bambini e le bambine sono chiamati a raggiungere, c’è la parte emotiva potentemente determinante, in modo particolare in alcune situazioni, ci sono gli aspetti legati al lavoro in team, le incombenze burocratiche, la documentazione del lavoro svolto, il rapporto con i genitori, le attività concrete da preparare e gestire e chi più ne ha più ne metta.

 

Ma soprattutto alla base di tutto e prima di ogni altra cosa, c’è il gruppo da condurre.

 

Questo tra tutti, credo sia l’aspetto più impegnativo del lavoro alla scuola dell’infanzia, la cosa più difficile e anche quella che alla fine fa la differenza tra i diversi docenti.

Tutti gli insegnanti lavorano, tutti mettono dentro il loro modo di stare con i bani molto di sé stessi, tutti producono elaborati e proposte, ma credo che la differenza reale tra i diversi stili educativi, risieda soprattutto nelle diverse modalità di ascolto e comprensione dello stato emotivo del gruppo, nel suo insieme e in particolare, dei suoi componenti presi singolarmente.

 

Ben lo sanno gli insegnanti, quelli che sono agli inizi e, allo stesso modo, quelli con molti anni di esperienza.

Cosa è più impegnativo? Cosa è più difficile? Cosa costa più fatica e in definitiva cosa da più soddisfazione?

La risposta a tutte queste domande è una sola: condurre il gruppo in modo tale che i bambini e le bambine che lo compongono, riescano ad andare tutti insieme nella giusta direzione e per di più, vivendo il percorso con piacere.

 

Obiettivi di apprendimento ed obiettivi educativi sono concretizzabili in molti modi, sono misurabili e talvolta vengono resi visibili dai prodotti e dai manufatti creati a scuola, ma tutte queste cose dicono solo una parte del lavoro, se infatti nel gruppo non c’è un buon clima, se non poniamo la necessaria attenzione all’aspetto affettivo-emotivo, di tutto quanto proposto rimarrà ben poco.

 

 

Differenza tra educare ed insegnare: vivere un’esperienza impegnativa e totalizzante.

 

 

L’ascolto, l’attenzione dei bambini e delle bambine, la partecipazione attiva alle conversazioni e alle attività, il rispetto verso l’insegnante e verso i compagni, la libertà di esprimere sé stessi per ciò che si è, l’accoglienza verso le diversità, il contributo creativo e personale alle proposte quotidiane.

 

Niente di tutto questo viene da un lavoro semplicemente programmato e svolto con maestria e diligenza.

 

Se prima non è stata posta la base, la casa scricchiolerà e talvolta rischierà di cadere.

 

E alla base, secondo me, c’è sempre l’accoglienza di ogni singolo bambino,  della sua storia,  delle sue particolari esigenze e tutti i bambini ne hanno, non solo quelli con difficoltà.

 

E' questa per me la differenza tra insegnare ed educare: dentro l'educare c'è l’ascolto attivo per ognuno, c’è lo sguardo attento, il sorriso incoraggiante, c’è il dire a ciascuno concretamente, non con le parole ma con i gesti: ci sei? Come stai oggi? Che ne dici se proviamo a fare una cosa nuova, a superare un limite che ieri ci ha bloccato, a scoprire nuove modalità di lavoro e di relazione? Un gioco nuovo e un nuovo amico con cui sperimentarlo? Io ci sono e tu?

 

Dunque per fare tutto questo bisogna esserci, esserci sempre e non solo per un bambino, ma per molti. Questa è la fatica.

 

Esserci quando ti parlano in tre, esserci quando l’attività ha preso una piega inaspettata ed impegnativa, esserci quando nascono confronti e conflitti, quando qualcuno è in difficoltà, esserci per mediare, per ascoltare, per condividere, per costruire.

 

Talvolta è una lotta, quasi sempre un impegno pressante.

 

Esserci sempre, anche quando hai un giorno no, quando non sei in forma, quando a casa hai un qualsiasi problema, esserci perché quando stai con i bambini non puoi fare diversamente, altrimenti succede quello che rende il lavoro titanico: il gruppo ti sfugge e non va più dove stai andando tu, ma semplicemente in un'altra direzione.

Alcuni docenti raggiungono lo scopo con la severità, altri con la continua proposta di sempre nuovi lavori che riempiano il tempo e non lascino spazio ad altre dinamiche, altri ancora si impegnano fino allo stremo ma non raggiungono lo scopo.

 

Tutti abbiamo sperimentato diverse modalità ed ognuno ha trovato quella migliore per sé, ed è proprio questo che fa di ogni insegnante un unicum.

 

 

Due grandi qualità per un insegnante: empatia ed intelligenza emotiva.

 

 

Da sempre ho fatto dell’empatia il mio strumento di lavoro principale.

 

La pratico non per scelta ma perché è una delle caratteristiche preponderanti della mia personalità, la pratico perché mi piace, perché mi aiuta, perché è il canale che apre a buone relazioni e quando ci sono buone relazioni con i bambini, quando i bambini ti rispettano e ti vogliono bene, l’apprendimento che passa dentro quel tipo di relazione, rimarrà con loro per tutta la vita.

 

Ecco, per me è questa la fatica di insegnare: accogliere ciascuno esattamente per dove è e non per dove noi vorremmo che fosse. Accoglierlo con il suo bagaglio di cose buone e talvolta anche di cose faticose o difficili da digerire, accoglierlo e condividere con lui o con lei il cammino di ogni giorno.

 

Wow bellissimo! Ma anche tremendamente faticoso.

 

Ci sono giorni in cui, uscendo da scuola, per me non ho più una sola risorsa utile, ho speso tutto.

 

 

Perchè vuoi fare l'insegnante?

 

La fatica di insegnare raccontata ad una giovane maestra.

 

 

Ricordo benissimo le emozioni dei miei primi giorni come insegnante, ogni bambino e bambina, ogni fatica ed ogni conquista…

 

Dopo tanti anni di insegnamento, e l’ultimo è appena terminato, provo ad immaginare cosa direi a me stessa se fossi una delle mie tirocinanti:

 

Oggi la scuola è per te una nuova avventura e non sai dove ti porterà. L’estate non è ancora finita, tra pochi giorni si parte, hai in mano solo una lista di nomi, non sai nulla di loro e nulla di questo nuovo lavoro.

 

Si hai studiato, hai qualche esperienza e ottimi voti da esibire ma presto ti accorgerai che i bambini veri, sono altro e anche solo farli stare seduti sarà un’impresa ardua, non parliamo del farli riordinare o di catturare la loro attenzione.

 

Non sei sola, hai ottime colleghe che ti insegneranno molto e con cui crescerai immensamente, sono giovani piene di entusiasmo, rigorose, creative, dolci, hanno un’etica del lavoro fantastica, che in futuro non ritroverai più. Pur non avendo alle spalle un controllo pressante, lavorano con una straordinaria cura e mettono dentro ciò che fanno tutte sé stesse.

 

Tornando alla classe, i tuoi bambini e bambine sono tutti “nuovi” proprio come la loro maestra, nessuno è mai stato a scuola e questo farà di voi il più improbabile gruppo classe della storia, ma quando vi sarete conosciuti, quando avrai trovato i canali per catturare il loro interesse e per esprimere la tua creatività, allora vedrai che la fatica quotidiana, avrà un riscontro e diventerà gioia, di più soddisfazione.

 

Verranno anche i tempi del cambiamento: diventare madre, lavorare in una nuova scuola, svolgere l’anno di prova con una bambina nata da tre mesi, allattare tra una riunione e l’altra, andare al lavoro con il sonno che solo i neo genitori conoscono e trovare 29 bambini ad attenderti.

 

E poi arriveranno i tempi duri: perdere una persona cara e festeggiare il carnevale con i bambini e le bambine come se nulla fosse; accompagnare un genitore nella malattia, fare le notti in ospedale e poi tornare a scuola il mattino, per sentirsi dire che la tua assenza non era sufficientemente motivata.

 

Non lo sai ancora ma la scuola è anche questo: stipendi bassi, ottusa burocrazia, ore trascorse in confronti interminabili, tempo rubato ai bambini e a te stessa, in definitiva alla vita.

 

 

Per tornare all’affermazione iniziale: ragiona sulla fatica e pensa a quanto dovrai dare a questo lavoro…

 

In questi anni, credo di aver dato tutto quello che avevo da dare, se sia molto o poco, non spetta a me dirlo.

Quello che posso dire è che al netto della fatica, a volte davvero troppo intensa, il mio lavoro è stato prezioso, non solo mi ha accompagnato in ogni fase della vita, ma mi ha anche costruito come persona, arricchito immensamente come genitore, regalato amicizie ed esperienze, messo alla prova e consolidato.

Senza la passione non avrei di sicuro retto agli urti, che si, ci sono stati.

 

Se sei una giovane maestra e stai cercando di farti le ossa, posso solo dirti che i bambini e le bambine saranno i tuoi migliori alleati, saranno quelli capaci di capire meglio la tua passione e il tuo impegno e sempre loro saranno quelli che comprenderanno meglio le tue difficoltà e la tua stanchezza.

E oggi, se mi guardo indietro, li ritrovo tutti, uno ad uno, come una grande meravigliosa ricchezza.

      

 

                                                                                                                                                                               Designed by Freepik

Cristina Vitali
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