Bambini stranieri in classe. Esperienze e strategie di accoglienza.

Bambini stranieri in classe. Esperienze e strategie di accoglienza.

Se riguardo indietro ai miei numerosi anni di insegnamento, rivedo tutta una serie di famiglie che mi hanno affidato i loro bambini, alcune di queste famiglie erano straniere, provenienti da diversi paesi del mondo.

 

Accoglienza e integrazione alla scuola dell'infanzia. Un cammino fatto di incontri.

 

 

All’inizio, è stato il nord Africa, poi via via, bambini provenienti da diversi paesi: slavi, balcanici, romeni, e poi dall’Africa, dal Pakistan, India, centro e sud America, Regno Unito e chi più ne ha più ne metta.

Il primo anno di lavoro, in una scuola cattolica, ricordo che a Natale insieme agli abeti decorati dai bambini, in classe appesi anche delle palme.

Mi sembrava rispettoso e bello, visto che erano alberi tipici del Marocco, potevano stare bene nel presepio e in qualche modo anche rappresentare le mie due bambine provenienti proprio da quel paese.

Cercavo a modo mio di accogliere, non sapevo bene come, ma sapevo assolutamente chi, stavo accogliendo e volevo che i miei bambini e le mie bambine si sentissero bene a scuola a prescindere dal loro paese di provenienza.

Nella mia beata ignoranza non sapevo nulla della loro cultura, della loro lingua o del loro paese di origine ma sapevo che avrei potuto imparare e mi feci aiutare proprio da loro.

Fu così che dopo un anno conoscevo qualche parola in arabo, parole che in seguito avrei esibito svariate volte, qualche piccola filastrocca e avevo qualche idea un po' più chiara, su quali fossero le modalità migliori per comunicare.

 

 

Alunni NAI e mediatori culturali, il loro valore a scuola.

 

 

Con il tempo e con lo studio, scoprii che esistevano figure professionali nate per migliorare proprio la comunicazione tra le famiglie di altre culture e la scuola.

In realtà non tutti gli istituti hanno questa disponibilità, negli anni ho incontrato solo una volta una mediatrice culturale, ma posso dire che quando queste figure ci sono, la loro presenza è di grande aiuto soprattutto nei momenti di dialogo con i genitori.

Il loro lavoro non solo facilita la comprensione dal punto di vista linguistico, traducendo quanto condiviso nel corso dei colloqui, ma aiuta anche e soprattutto, chiarendo le differenze culturali che potrebbero costituire un ostacolo importante.

 

Sono soprattutto le famiglie N.A.I. ovvero di nuovo arrivo in Italia, quelle che vanno aiutate a comprendere meglio, quali siano le differenze tra il sistema scolastico del loro paese di provenienza e quello italiano.

Per un genitore che ha frequentato la scuola in un contesto culturale profondamente diverso dal nostro, non è facile riuscire a cogliere, per esempio, l’importanza del passaggio di informazioni tra scuola e famiglia, o il perché le insegnanti facciano determinate richieste, che a noi sembrano banali e, che per quei genitori non lo sono.

 

In questo, come insegnanti, ci viene senz’altro in aiuto l’esperienza, ma moltissime volte l’esperienza non basta, serve un passo in più.

 

 

Prima dell'alfabetizzazione: l'accoglienza di tutti i bambini e le bambine, come metodo di lavoro a scuola.

 

 

Come per tutti gli altri bambini e bambine, anche per gli alunni stranieri, accogliere per primi i genitori, farli sentire compresi e rispettati, aiuta a costruire la fiducia e ad affrontare nel modo migliore le prime inevitabili difficoltà.

Racconto un semplice episodio che mi è capitato anni fa.

 

Un papà, alla sua seconda figlia frequentante la mia sezione, e con cui avevo costruito nel tempo un rapporto franco ed onesto, venne un giorno a scuola per dirmi che la sua bambina aveva sete.

Lì per lì, rimasi un po' confusa, in che senso aveva sete? Ha sete ma non sa come chiederti di bere.

Sorrise, so che maestra sei, so come hai trattato la mia prima bambina e capisco che è mia figlia che deve imparare a chiedere, ma ha bisogno di te per farlo. E poi aggiunse, finché ci sei tu qui, noi non abbiamo nessun problema.

 

Queste parole mi lasciarono stupefatta, cosa voleva dire?

Probabilmente, a modo suo, cercava di dirmi che non tutti gli insegnanti sono uguali o che non tutti gli insegnanti sanno comunicare adeguatamente.

Non so, ma credo che queste famiglie sperimentino, in alcuni momenti, la paura che i loro bambini possano non solo non essere compresi, ma anche e soprattutto non essere accolti.

Forse temono che lontano dai loro occhi qualcuno, grande o piccolo, possa avere atteggiamenti spiacevoli che potrebbero compromettere un buon inserimento a scuola.

Questo è il primo timore, credo, di cui noi insegnanti siamo chiamati a farci carico.

 

Non farlo, non garantire l’uguaglianza e non farli sentire accolti e rassicurati, si rivela un errore fatale, che compromette il rapporto con i genitori e spesso rende difficile anche quello con i bambini.

 

Serve tempo e pazienza per arrivare a comunicare adeguatamente, serve tempo per offrire supporto e poter arrivare poi a chiedere riscontri quando è necessario, ma se il rapporto viene impostato sulla franchezza e sull’accoglienza, il percorso scolastico di questi bambini ne trae benefici profondi e duraturi nel tempo.

 

Successo o insuccesso scolastico, mi sento di dire che, dipendono anche da questi primi passi.

 

 

Scuole e progetti sulla multiculturalità.

 

 

E’ capitato, in scuole in cui ho lavorato, che si strutturassero progetti riguardanti la multiculturalità, coinvolgendo esperti che, a vario titolo, si occupassero di individuare buone prassi, finalizzate al benessere dei bambini e delle bambine stranieri.

Persone molto preparate ma che, nella maggior parte dei casi, non vivevano la quotidianità a scuola, non conoscevano le singole famiglie, né tantomeno i bambini e le bambine di cui erano chiamati ad occuparsi e che quindi svolgevano più un lavoro teorico e statistico che concreto.

 

Il lavoro quotidiano, concreto, reale, è quello che passa attraverso le fatiche, le lacrime, gli occhi che ti guardano, sgranati e sembrano chiederti perché non capisco? Perché non mi capisci?

 

Le parole scandite e ripetute, mimate, disegnate, cercate e, a volte, non trovate, i sorrisi, i gesti, tutto quello che parla anche senza parole, tutto quello che dice, senza parlare.

E’ dentro questo spazio che il miracolo avviene, quando decide di compiersi: la comprensione al di là dei confini, fisici, linguistici, culturali, personali, nostri e loro.

E la comprensione viene quando siamo sospinti dalla voglia di comunicare a dispetto delle differenze.

 

 

Come fare concretamente, quando l’accoglienza diventa efficace.

 

 

Alfabetizzazione degli alunni stranieri e uso delle lingue.

 

 

Dicevamo del mio percorso con la lingua araba, delle filastrocche e delle canzoncine, dei nomi imparati ed infilati un po' ovunque, forse anche a sproposito.

Ho omesso di dire che a volte è capitato che le mamme o i papà ridessero di gusto per la mia pronuncia di un nome o di una parola in particolare, magari imparata dai bambini e non padroneggiata, oppure che rimanessero stupite sentendosi rivolgere parole nella loro lingua.

 

Questo mio mettermi in gioco con le lingue però mi è sempre stato d’aiuto, il fatto di parlare più o meno bene una qualsiasi lingua non è discriminante, ciò che può fare davvero la differenza a mio parere è il fatto di buttarsi, di provare e di cercare un qualsiasi canale di comunicazione.

 

Con alcune famiglie mi è stato d’aiuto il francese, con altri il mio poco spagnolo, meno spesso l’inglese, poche parole magari, ma sono servite a far comprendere ai genitori che ce la stavo mettendo tutta per comunicare con loro.

Ci sono mamme con cui nessuna di queste lingue è di aiuto, perché nessuna appartiene al loro background culturale, non importa, si possono trovare altre strade.

 

Può essere utile suggerire che ai colloqui partecipino anche i papà, trovare altre mamme che padroneggino meglio l’italiano e domandare loro di fare da interpreti, almeno per le piccole comunicazioni di tutti i giorni, l’importante è trovare un canale che ci faccia percepire come seriamente interessati a condividere quanto fatto e vissuto a scuola dai loro bambini.

 

 

Le domande dei bambini sulle religioni dei compagni stranieri.

 

 

Spesso i bambini sollevano domande molto pertinenti, nel tentativo di comprendere alcune cose.

 

Perché lui/lei non può mangiare la carne?

Perché non sta con noi quando arriva la maestra di religione?

Perché la sua mamma è vestita in quel modo?

Perchè si pettina così?

 

A tutte queste domande, più che naturali, ho visto dare risposte diverse, ci sono adulti che distinguono tra “noi” e “loro” e chi chiarisce che esistono diverse tradizioni, culture e religioni e che fare parte di una piuttosto che di un’altra, è frutto semplicemente dell’essere nati in un contesto, piuttosto che in un altro, in una determinata zona geografica e in un dato tempo.

 

Siamo differenti e questo è chiarissimo anche agli occhi dei bambini, ma il fatto che qualcuno venga considerato diverso e per questo discriminato, non appartiene assolutamente alle modalità di relazione dei bambini nella fascia di età della scuola dell’infanzia.

 

Sicuramente si guardano, a volte, con stupore e curiosità, prendendo nota delle differenze e imparano a conoscersi sempre meglio, ma poi al dunque, quando si tratta di giocare, collaborare, interagire, quello che fa la differenza non è affatto la provenienza dei singoli, ma più il clima che si è saputo costruire all’interno del gruppo.

 

 

Come inserire un bambino straniero a scuola: integrazione, una parola con più significati.

 

 

Dove i bambini respirano attenzione, cura e rispetto per l’altro, imparano, e come se si guardassero in uno specchio, riproducono proprio quegli stessi atteggiamenti, prima per imitazione ma poi, facendo, vivono di volta in volta nuove esperienze, risistemano e rimodellano la loro comprensione del mondo e trovano una collocazione e un senso per ogni cosa.

 

Questa è la magia della crescita: fare esperienza, riorganizzare ciò che già si possiede e conosce, rimodellare tutto senza neppure accorgersene, trovando spazio per le nuove acquisizioni e poi, di nuovo, ricominciare da capo.

 

Se penso a come alcuni adulti tentino di tenere lontani i propri figli da alcuni contesti, trovo che facciano davvero torto a questo principio del crescere: ogni cosa che evitiamo perché magari in qualche modo la temiamo, si ripresenta nel tempo e sempre ci trova impreparati e più spaventati di quanto non fossimo in precedenza.

 

I nostri bambini invece, tutti i nostri bambini, imparano dagli altri, imparano stando insieme agli altri e crescono, diventando più solidi, più esperti e più sicuri ad ogni nuovo incontro.

 

E’ un meraviglioso processo per cui si aggiunge ciò che manca, si integra ed è proprio questo il percorso che come educatori auspichiamo, per tutti i bambini e le bambine, non solo per qualcuno.

 

Un altro significato della parola integrazione, in qualche modo bidirezionale, così facendo, domani la vita li troverà preparati, perché capaci di aprirsi a contesti e persone diversi e di uscirne a loro volta arricchiti.

 

 

Attività per bambini stranieri alla scuola dell'infanzia: percorsi di inclusione con i genitori.

 

 

Un’efficace strategia, che ho utilizzato ripetutamente nel corso degli anni per accogliere concretamente e che sempre ha funzionato, è quella che prevede di invitare a scuola le mamme per la lettura di un racconto nella loro lingua. Italiane o straniere non fa differenza.

 

Questo tipo di attività è di facilissima gestione, non prevede un’organizzazione complessa e allo stesso tempo regala spazio alla condivisione di molte tematiche importanti e aiuta tutti i bambini e le bambine a scoprire e comprendere cose nuove.

 

Esistono diverse collane di libri utili allo scopo: libri bilingui con brevi storie di altre culture, leggibili in modo parallelo, sia in italiano che in un’altra lingua; oppure libri che raccontano storie di personaggi in viaggio in Italia, ma che cercano qualcosa di familiare e lo fanno in una lingua altra.

 

Tutti vanno bene, purché offrano agli adulti un punto di partenza efficace per strutturare una narrazione e ai bambini la possibilità di spaziare con la fantasia e l’intelligenza, in altri linguaggi, altre storie, altri paesi.

 

In quei momenti, quando il genitore narra nella propria lingua e il racconto ci risulta incomprensibile, i bambini e le bambine, sempre ascoltano con attenzione, affascinati da quei suoni nuovi, così diversi da quelli consueti.

Alla fine, dopo le domande di rito e le risposte divertite delle mamme, sempre faccio notare loro, come l’esperienza vissuta sia simile a quella sperimentata dai compagni, nei primi giorni a scuola, quando ancora non parlavano italiano e le nostre parole risuonavano misteriose.

 

Allora tutti mi guardano intensamente, mettendosi nei panni degli amici, immaginando e comprendendo, meglio degli adulti.

 

 

                                                                                                                                                                              Designed by Freepik

 

Cristina Vitali
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