I cinque valori da coltivare e trasmettere ai bambini.

Bambini valori

I genitori trasmettono ai figli competenze, abilità, valori, credo che apprenderli presto (ma non è mai troppo tardi per farlo), sia davvero qualcosa che può arricchire la vita di ciascuno di noi.

 

Quali valori trasmettere ai figli.

 

 

Ogni individuo ha i propri valori, che sono diversi per ognuno e non è scontato, né semplice padroneggiali.

Quando si va a formare una famiglia, la cosa si complica ulteriormente perchè due persone mettono in comune, tra le altre cose, anche i propri valori, rendendoli il centro del cammino di crescita di sé stessi e dei figli.

I valori sono qualcosa in cui ci si riconosce e a cui si tende e non una lista di cose da fare, quindi è importante non perderli mai di vista e non perdersi d'animo, anche quando ci si ritrova in una situazione, o in un momento della vita difficile o stagnante.

 

Quella di quali valori trasmettere ai figli, è dunque una scelta profondamente personale e a prescindere da quali possano essere, dobbiamo tenere presente che è guardando a come li viviamo noi, che i bambini apprendono i nostri valori, quindi lavoriamoci su serenamente, sapendo anche che, per qualcuno alcuni tratti sono innati e quindi il lavoro da fare, sarà diverso per ognuno.

 

I valori che vado a proporre di seguito, non pretendono di esaurire nessun aspetto della vita, ma vogliono essereci semplicemente d'aiuto, come individui e soprattutto come educatori, perchè riguardano molti aspetti della quotidianità che ogni giorno esploro nel mio lavoro di insegnate.

 

 

Persistenza. Cos’è e cosa significa essere una persona persistente.

 

 

Questo termine può avere in alcuni casi un’accezione negativa, si può infatti insistere e perdurare, in qualcosa che magari non ci apporta benefici e che quindi ci fa perdere tempo e ci porta lontani dai nostri obiettivi.

Il senso che voglio dare a questo termine, è quello invece di diventare persone capaci di persistere, costantemente nel tempo, in qualcosa che si è avvertito come importante, positivo e quindi capace di cambiare in meglio la nostra vita.

 

Diventare ostinati e tenaci nel lavorare in quella direzione che sappiamo difficile, impegnativa, faticosa ma buona per noi e per la nostra vita.

 

Viverlo ed insegnarlo ai nostri bambini non è semplice perché qui entra in gioco il concetto di gratificazione immediata: quel meccanismo per cui si va a ripetere un’azione che ci ha dato piacere, nel tentativo di rivivere la sensazione di benessere che essa ci ha regalato.

 

Credo che ognuno di noi abbia sperimentato questo meccanismo almeno una volta.

 

E’ naturale, ma se questa modalità governa le nostre azioni e magari lo fa in modo per noi del tutto inconsapevole, potremmo ritrovarci nella condizione frustrante, di non raggiungere i nostri obiettivi e di non sapere neppure il perché.

Il modo in cui affrontiamo le difficoltà, il lavoro, le fatiche ha molto a che vedere con questo meccanismo.

 

Conoscerlo non ci esime dall’impegno o dalle difficoltà, ma può portarci a lavorare nella direzione giusta, quella cioè di imparare ad attendere una gratificazione differita.

 

Ma che cosa vuol dire gratificazione differita e come riuscire, prima a praticarla e insegnare poi a farlo anche ai nostri bambini?

 

Si impara ad attendere una gratificazione differita, esercitandola ogni giorno nelle piccole cose ed imparando a riconoscere quegli atteggiamenti che non lavorano in nostro favore.

 

Come insegnante mi è capitato di pensare che in alcuni bambini la tendenza a mollare davanti agli ostacoli sia innata.

 

Davanti ad un’esperienza nuova o quando incontrano una difficoltà, si ritraggono arrabbiati e manifestano tutto il loro disappunto. Aiutarli è impegnativo e servono coerenza e pazienza per smuovere questa loro caratteristica, ma questo lavoro, in realtà riguarda tutti, anche noi adulti.

 

Per lavorare su questa caratteristica può esserci d’aiuto:

 

Affrontare, per esempio, i piccoli capricci con serena fermezza: ora questa cosa non si fa o non si compra, lo faremo in un altro momento.

Non rinforzare alcuni atteggiamenti che vediamo nei nostri bambini, che oggi ci fanno sorridere o ci rendono compiaciuti, ma che in un gruppo diverso dal nucleo familiare o in un secondo tempo, potrebbero mettere noi e loro, in difficoltà.

Dire, senza paura e con serenità, anche qualche no, ben chiaro, motivandolo ai bambini e riconoscendo che magari la cosa che desiderano possa essere concessa in un altro momento.

 

Questo non per punire o mortificare.

Molti genitori ritengono che dire dei no significhi fare proprio questo, così evitano di dirne ai propri figli, dimenticando che sarà la vita prima o poi a farlo e quando questo accadrà, sarà preferibile essere preparati.

 

Gratificazione differita significa quindi imparare, ad attendere una gratificazione più grande e di valore, che sappiamo arriverà in seguito.

 

L’esperimento di Stanford con i marshmallow lo ha mostrato con chiarezza: durante l'esperimento, veniva posto davanti a dei bambini un marshmallow e veniva proposto loro di aspettare a mangiarlo, quelli che fossero riusciti ad attendere, avrebbero poi ricevuto come ricompensa un numero maggiore di dolcetti. Per alcuni bambini attendere fù meno difficile che per altri, ma quello che più colpisce è che studiando i bambini che erano riusciti ad attendere la ricompensa differita, si scoprì che nel tempo, grazie a quella caratteristica, nella vita avevano fatto più strada e avevano avuto per così dire, più successo. Addiritturasi si scoprì che c'era una correlazione, tra i secondi che avevano saputo attendere e i risultati dei loro test per l'ammissione al college.

Cosa può dire questo esperimento a noi oggi? Forse che avere sperimentato e praticato la persistenza, diventerà prezioso, per esempio, davanti alla mole di lavoro e di impegno che richiederà il percorso di studi.

Allenando i bambini ad essere persistenti li aiutiamo ad imparare che cos’è la visione di lungo termine, quella capacità cioè, di percepirsi dentro un percorso in divenire, che oggi ci vede in un determinato punto del cammino, ma che nel tempo ci porterà lontano.

 

La meta magari non è vicina, né semplice da raggiungere, ma allenandoli a guardare lontano li metteremo nelle condizioni di attivarsi per raggiungerla.

 

 

Cos'è la resilienza e come insegnarla ai bambini.

 

 

Il significato della parola resilienza è splendido: in psicologia è la capacità di reagire a traumi e difficoltà, recuperando l’equilibrio psicologico attraverso la mobilitazione delle risorse interiori e la riorganizzazione in chiave positiva della personalità, già questo basterebbe per chiudere in bellezza questo paragrafo.

 

Anche qui, come per la persistenza, insegnare la resilienza significa accompagnare gradualmente i bambini e le bambine in un cammino che li abitui a mettersi in gioco, a sperimentare la fatica, ad allenare i muscoli emotivi, affrontando da subito qualche piccola frustrazione o difficoltà.

 

Solo così facendo, permetteremo loro di attivare quelle risorse interiori, che nel futuro cammino di crescita si riveleranno armi preziosissime.

 

Reagire positivamente alla fatica richiesta dai primi impegni, nello studio o nello sport, essere in grado di far fronte alle prime delusioni o alle difficoltà piccole o grandi, che la vita pone sul cammino di ciascuno di noi, non sono, come ben sappiamo, abilità che si improvvisano, vanno costruite.

 

Sul come, c’è un certo dibattito: ci sono genitori che crescono i propri figli senza aver mai detto loro un no, senza aver condiviso una regola, senza aver lasciato che si confrontassero alla pari con i coetanei o con la fatica, credo ne conosca anche tu.

Quando li incontri, riconosci loro la libertà di farlo, ma sai anche quante difficoltà si troveranno poi a dover affrontare quei bambini e bambine.

 

Costa una grande fatica lasciare che incontrino le prime difficoltà e fare un passo di lato.

 

Vorremmo affrontarle tutte noi per loro e prenderci sulle spalle il loro carico, ma dobbiamo sapere che questo non li aiuta e tantomeno, li aiuta fargli credere di essere il centro del mondo.

 

E’ proprio quel passo di lato, quel porre tra noi e loro una piccola distanza emotiva che permette la crescita, una crescita non solo fisica ma anche psicologica ed emotiva.

 

Cominciamo subito a coltivare la resilienza nei nostri bambini con piccole regole condivise, piccoli incarichi da svolgere, piccoli spazi di autonomia da costruire.

 

Cominciamo sorridendo quando scopriremo che non sono i protagonisti della recita, quando il voto non è quello sperato, e quando scopriremo che non sono i primi in tutto.

La loro resilienza parte da noi.

 

 

Come accettare i propri errori e imparare da essi.

 

 

Accettare gli errori, nostri e dei nostri bambini, può risultare talvolta molto difficile: molti di noi per educazione o in virtù della propria personalità, sono terrorizzati dagli errori.

Non necessariamente a causa del giudizio degli altri, a volte è più per quello che ognuno pensa di sé stesso a porre un limite.

 

Anche qui quindi, potrà capitare che il lavoro da fare sia prima su di noi.

Non spaventiamoci per questo, cominciamo da piccoli passi, tenendo ben presente l’idea che reagire positivamente agli errori sia una nostra fatica, un aspetto su cui siamo consapevoli di dover lavorare.

 

Cambiamo prospettiva, cominciamo a guardare all’errore non come ad una colpa ma come ad un’opportunità che si crea per crescere, per riprovare, per cambiare, smettiamo di dargli il potere di mortificarci e di redarguirci, accogliamolo come un momento di libertà, per noi e per i nostri bambini.

 

Provando e riprovando, acquisteremo sempre maggiore consapevolezza e impareremo a perdonarci anche qualche scivolone e lasciare che i nostri bambini e bambine imparino dagli errori non ci sembrerà più così spaventoso, né per loro né per noi.

 

Insegniamo con l’esempio che nessuno è perfetto o infallibile, nemmeno i tanti che credono di esserlo, questo ci concederà non solo di disegnare traiettorie di sviluppo sempre nuove, ma anche di raggiungere risultati che non avremmo mai sperato di ottenere.

 

 

Thinking outside the box.

 

 

Cosa significa thinking outside the box?

Letteralmente pensare fuori dalla scatola, dove per scatola si intende quell’insieme di schemi che ci siamo costruiti nel tempo o che qualcun altro ha costruito intorno a noi e che talvolta diventano credenze granitiche, che ci limitano e in qualche modo ci definiscono.

 

Se ci fermiamo a riflettere, possiamo sicuramente riconoscerne almeno qualcuno.

 

Nel caso dei nostri bambini, la scatola potrebbe essere alcuni modi che abbiamo di guardarli e che finiscono per diventare una sorta di maglietta che infiliamo loro: non è capace, non è portato/a per la matematica o per qualcos’altro, in questa cosa è tutto suo padre/madre.

 

Ad ognuno di noi è capitato di pensare qualcosa di simile o di sentire i nostri genitori che lo dicessero di noi.

Assodato che sia una cosa comune è importante abituarsi a riconoscerla e a correggere il tiro, uscire cioè dalla scatola e imparare a guardare le cose da un differente punto di vista.

 

Per qualcuno questo esercizio è più naturale: le persone con caratteristiche di pensiero divergente, sono per loro natura abituate a cercare e trovare risposte alternative e a risolvere i problemi utilizzando la creatività.

 

Alcuni bambini e bambine possiedono questa caratteristica pregevole, che non sempre viene accolta favorevolmente.

 

In un mondo dove la convergenza è ritenuta un vantaggio, perché consente di dare risposte in base alla logica e a schemi appresi in precedenza, essere creativi può significare percepirsi ed essere percepiti come diversi, sia a scuola che in famiglia.

 

I bambini e le bambine che hanno queste caratteristiche e vivono questa situazione, purtroppo non solo sono limitati nello sviluppo delle loro potenzialità, ma rischiano anche di sentirsi in qualche modo sbagliati.

 

Come pensare outside the box e coltivare il pensiero creativo nei nostri bambini?

 

Sentiamoci e lasciamoli liberi di fare esperienze senza averne paura: paura di cosa pensano gli altri, paura di sporcarsi, di uscire dagli schemi, di sembrare fuori posto.

 

Impariamo a coltivare il pensiero creativo e ad insegnarlo ai nostri bambini e soprattutto, se riconosciamo nei nostri figli caratteristiche di pensiero divergente, che noi potremmo anche non avere, impariamo ad accoglierli per ciò che sono e consentiamo loro di coltivare ed esprimere la loro creatività al meglio.

 

 

Perché è importante avere fede e cosa regala ai bambini.

 

 

Quando parlo di fede, non intendo con questo, l’aderire a questa o a quella confessione religiosa, indipendentemente da esse infatti, esiste un atteggiamento innato, riconoscibile anche nei bambini molto piccoli, che accomuna gli uomini e le donne di ogni paese e cultura: la spiritualità.

 

Ma cosa significa spiritualità e cosa può offrire a chi la coltiva e ai nostri bambini?

 

La spiritualità è la capacità di volgere lo sguardo all’alterità e quindi il riconoscere che non siamo noi il centro dell’universo ma anzi, esiste qualcosa di più vasto, profondo, si direbbe infinito, che ci precede e nello stesso tempo ci supera.

 

Qualcosa a cui possiamo tendere e qui le religioni indicano in modi diversi, valori e principi che vogliono essere per gli uomini e le donne che le seguono, motivo di crescita e di miglioramento costante.

 

Si sente spesso dire che la fede è un dono e per questo molti si giustificano, dicendo di non possederla ma il punto non è questo.

 

Il punto è imparare prima ed insegnare poi, ai nostri bambini, a guardare oltre la nostra esperienza concreta e stringente, ad essere consapevoli di essere in cammino e a rendersi conto che non siamo l’uccellino, della famosa storiella, che crede di sorreggere sulle sue fragili spalle, il peso del mondo.

 

E’ una questione di fiducia. Fiducia in Dio, che nel concreto diventa fiducia in sé stessi e negli altri, sguardo positivo sul creato o sul mondo, se preferisci, e atto di quotidiana creatività.

Immagina quale ricchezza può donare ad un figlio, un genitore che si muove dentro questo vastissimo perimetro.

 

Credo sia di grande aiuto avere una direzione di crescita a cui tendere e nello stesso tempo sapere anche che con gli altri si può camminare, ognuno con il proprio passo e soprattutto, e questo credo sia un grande sollievo, realizzare che non siamo Dio.

 

La fede o se vogliamo le religioni, si strutturano sempre in comunità e anche questo è importante, la prospettiva di un percorso in cui sperimentarsi e crescere e la possibilità di viverlo insieme agli altri, credo ridimensioni molto autoreferenzialità, egocentrismo e narcisismo, oggi talvolta così sviluppati.

 

 

                                                                                                                                                                                  Designed by Freepik

Cristina Vitali
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